Il mio nome è Roger Doiron e coltivo un piano sovversivo. È così sovversivo infatti che ha il potenziale per modificare radicalmente l’equilibrio di potere non solo nel nostro paese ma in tutto il mondo. Non c’è niente di particolarmente radicale o rivoluzionario in un prato. Ma comincia a diventare interessante quando lo trasformiamo in un orto. Suggerirei a tutti voi che l’orticoltura è un’attività sovversiva. Pensate al cibo come a una forma di energia. È ciò che ci alimenta e allo stesso tempo una forma di potere. E quando incoraggiamo la gente a coltivare parte del proprio cibo la stiamo incoraggiando a prendere il potere nelle proprie mani. Potere sulla propria dieta, potere sulla propria salute e un po’ dipotere sul proprio portafogli. Penso che questo sia veramente sovversivo perché stiamo anche, necessariamente, dicendo di sottrarre quel potere a qualcun altro, ad altri soggetti sociali che attualmente hanno potere su cibo e salute.
Pensate a quali possano essere questi soggetti. E guardate anche all’orticoltura come a una sorta di salutare droga di passaggio, potremmo dire, ad altre forme di libertà alimentare. Poco dopo aver iniziato a coltivare gli ortaggi, dici: “Hey, ora ho bisogno di imparare come cucinarli… poi potrei voler imparare a conservare gli alimenti o a cercare il mercato contadino locale nella mia città”. La realtà è che ci troviamo nel bel mezzo di un’epidemia di obesità che non è limitata al nostro paese, ma si sta diffondendo in tutto il mondo proprio ora. E, in una specie di universo parallelo, vediamo che anche la fame è in aumento e che ne soffrono oltre 900 milioni di persone. È tre volte la popolazione degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, i prezzi del cibo nel mondo stanno aumentando mentre la popolazione mondiale sta crescendo e si avvia a raggiungere i 10 miliardi di persone.
Dal 2007 è avvenuto un passaggio fondamentale: da un mondo principalmente rurale a uno principalmente urbano e questo ha implicazioni sul modo in cui sfameremo queste persone, sugli approvvigionamenti di cibo nelle città. Ed è la statistica che dice che per permettere la crescita della popolazione dovremo coltivare più cibo nel corso dei prossimi 50 anni, di quello che abbiamo coltivato nel corso dei 10.000 anni passati. Ora, ciò che rende questo ancora più impegnativo, è che avremo bisogno di coltivare tutto questo cibo con meno. E quando dico meno, intendo un certo numero di cose, meno petrolio, per esempio. I geologi più rispettati credono che abbiamo già raggiunto il picco della produzione di petrolio mondiale. Ora potreste pensare che non ci sia un collegamento fra petrolio e cibo, invece di fatto ce n’è uno molto forte. Ci vogliono 10 calorie di energia da combustibili fossili, nel nostro sistema alimentare altamente industrializzato, per produrre una caloria di energia alimentare.
Abbiamo anche bisogno di coltivare più cibo con meno terra coltivabile. Dobbiamo anche coltivare più cibo con minore stabilità climatica e minore diversità genetica. Abbiamo bisogno delle nostre varietà genetiche perché sono una specie di polizza di assicurazione contro il cambiamento climatico. Avremo bisogno anche di coltivare più cibo in meno tempo. Non sto semplicemente parlando della bomba ad orologeria costituita dalla crescitademografica, mi riferisco alla quantità di tempo che noi tutti abbiamo per portare un pasto decente a tavola, 31 minuti. Penso che sia necessario farlo, ma questo significherà che da qualche parte, lungo la strada, dovremo rinunciare a qualcosa. E’ tempo di lasciare la città o addirittura forse di lasciare il pianeta. Ma dove andiamo? Dove andiamo se abbiamo un solo pianeta? E dove andremo quando viaggiare sarà difficile?
Bene, se avete ascoltato i nostri leader politici nel corso degli anni, dovremmo semplicemente andare a fare shopping, giusto? Perché abbiamo questa convinzione incrollabile che possiamo comprare la nostra via d’uscita da qualsiasi problema. Ma la realtà è qualcosa di diverso. Non risolveremo i nostri problemi di cibo e di salute semplicemente passando dalla Coca-Cola tradizionale a qualche futura imitazione “verde”. All’industria alimentare piace farci credere che possiamo dare ai nostri figli tutte le vitamine, i minerali e tutte le sostanze utili a costruire il sistema immunitario di cui hanno bisogno solo continuando a mangiare le merendine ai cereali. La realtà è molto diversa.
Stiamo perdendo fiducia nel nostro sistema alimentare. Abbiamo tanti alimenti diversi, nei grandi negozi di generi alimentari, ma ci fidiamo sempre meno di questi prodotti. Ed abbiamo meno fiducia nei soggetti che mettono quei prodotti sugli scaffali. Credo che abbiamo la necessità di ridefinire ciò che è il buon cibo. A Berlino, in Germania, qualcuno coltiva ortaggi nei carrelli della spesa, abbandonandoli in giro. Sono patate. Ma oltre a ridefinire cosa sia il buon cibo, abbiamo la necessità di ridefinire i nostri spazi vitali. Al posto di vedere questo come un cortile, ripensiamolo come un servizio di fruttivendolo fai-da-te. Ecco in cosa abbiamo trasformato il nostro cortile. E penso che il messaggio chiave sia questo: gli orti producono buon cibo! Intendo cibo sicuro, salutare.
Un altro messaggio importante è questo: gli orti crescono bambini e famiglie sane. Nell’economia attuale la chiave per far passare questo messaggio è, gli orti aiutano le famiglie a risparmiare. Rispetto a ciò, fidatevi tranquillamente delle mie parole, perché, un paio di anni fa, oltre a tritare gli ortaggi con mia moglie abbiamo tritato numeri. Ed abbiamo scoperto che alla fine, abbiamo risparmiato oltre 2000 dollari coltivando il nostro cibo. Come possiamo ottenere il 26% di tutti i prodotti dagli orti di casa? Potrebbe sembrare tanto, perché probabilmente ora siamo al massimo al 2%. Ma considerate che all’apice del movimento degli orti vittoriani, nel secolo scorso, il 40% di tutti i prodotti venivano dagli orti. Possiamo tornare a farlo!
Stiamo usando tutti il codice fiscale per incoraggiare il trasporto e le case verdi, perchè non usarlo per il cibo “verde”? Stiamo parlando di un nuovo pacchetto di incentivi, perché non estenderlo agli orti? Perché no? Che cosa c’è ancora da fare?, abbiamo bisogno di agire localmente ed abbiamo bisogno di accertare che gli orti siano legali. Nel Michigan all’inizio dell’anno una donna, madre di 4 figli, per poco non ha dovuto scontare una sentenza a 93 giorni di carcere per aver coltivato un orto di fronte a casa. Ok? Abbiamo ancora leggi del 20° secolo, dobbiamo aggiornare il nostro codice alle realtà che abbiamo di fronte adesso. All’inizio dell’anno, in alcune grandi città sono passate leggi sulla sovranità alimentare. Ciò permette ai loro residenti non solo di coltivare cibo dove vogliono, ma anche di venderlo come vogliono e a chi vogliono. Penso che questo sia un incentivo Ci sono tantissimi orticoltori là fuori che potrebbero essere interessati ad aumentare la produzione, se potessero, se avessero un incentivo finanziario.
Ma oltre a questo, penso che abbiamo bisogno di riesaminare le infrastrutture che abbiamo in opera per gli orti. Penso che abbiamo bisogno di creare nuove infrastrutture e questa è una delle cose sulle quali sta lavorando la mia organizzazione. Un’infrastruttura di comunicazione, con base locale che consenta agli abitanti della stessa zona di connettersi l’un l’altro e di aiutarsi a vicenda. Penso che questo ci manchi al momento ma lo possiamo fare, di sicuro la tecnologia c’è. Penso che c’è bisogno che la gente si frequenti anche a livello locale. Abbiamo bisogno di una rete di fattorie suburbane. Ancora una cosa di cui abbiamo bisogno è di non perdere il lato conviviale del cibo: il cibo è al meglio quando è delizioso, e gli orti possono contribuire a riportare un po’ di quella vibrazione di una comunità. Incrementare l’accesso al cibo è la più grande sfida che abbiamo di fronte. Gli orti di casa saranno una parte chiave della soluzione e rappresentano un investimento sicuro. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere. Coltiva il tuo orto sovversivo adesso!
(Roger Doiron, estratti da “Orti sovversivi”, intervento ripreso integralmente dal blog di Beppe Grillo. Doiron è fondatore di “Kitchen Gardeners International”, rete non profit composta da 20.000 persone in 100 paesi).
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