TRUMP METTE AL PENTAGONO IL GENERALE ANTI-NEOCON

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Se confermata, la scelta di Trump di mettere al Pentagono il  generale James Mattis sembra  buona. Nei Marines da 41 anni, non ammogliato (ha sposato l’esercito),   senza incarichi nei consigli d’amministrazione del complesso-militare industriale, gli ufficiali che sono stati suoi  sottoposti in operazioni belliche (è stato uno dei leader dell’invasione Irak  2003) ne parlano bene. Anzi con ammirazione: coraggioso, capace, geniale, onesto, un vero uomo di comando.
Nel 2013  ha criticato pubblicamente Israele, denunciando che stava costruendo un regime di “apartheid”.  Come comandante del CENTCOM ha pagato ogni giorno un prezzo in sicurezza militare  per il fatto  che gli americani sono visti pregiudizialmente pro-Israele.  Ciò influenza tutti gli arabi moderati che vogliono stare dalla nostra parte, perché non possono apertamente schierarsi con chi manca di rispetto ai palestinesi”.  E rivolto agli israeliani: “Se non viene stabilito uno stato palestinese, io vi dico che l’attuale situazione è insostenibile. (…)   Gli stanziamenti delle colonie [ebraiche nei territori occupati] stanno rendendo impossibile la soluzione a due stati”.   Finirete con realizzare l’apartheid.

Sono frasi  di buon senso, ma dirle ad alta voce in Usa, per un militare,  sono sintomo di audacia. Più precisamente, di non aver paura di rovinarsi la carriera.  Il generale Mattis, nonostante il nomignolo “Mad Dog”,   viene ritenuto un intellettuale; ha certamente letto The Israeli Lobby di Walt e Mearsheimer.  Per una serie di motivi, gli ufficiali che sono stati sotto il suo comando sperano, anzi sono convinti,che Mad Dog libererà il Pentagono dalla presa dei neocon, che controllano la politica estera Usa  in senso  filo-sionista dal 2001, quando hanno preso il potere   nei ministeri-chiave  sotto il presidente repubblicano Bush, e ci sono rimasti aggrappati  negli 8 anni del democratico Obama.
Su Obama ha un parere soldatesco
Di Obama non ha una grande stima
“Mi aspetto –  scrive  uno di loro su Sparta Report (sic, un blog soldatesco)- che Mattis come segretario alla Difesa faccia un c. così a quelle donnette imboscate che infestano il Pentagono dopo otto anni di regno di Obama.  Con l’appoggio di Trump, tirerà fuori le budella a quei parassiti nel   complesso militare-industriale,  che usano il servizio militare come parte del curriculum per atterrare in posizione  direttoriale a McDonnell-Douglas e  altri. Se Dio vuole  il presidente Trump emanerà un divieto  PERMANENTE   per OGNI ufficiale superiore  di lavorare per un contractor della difesa”.
D’accordo, si tratta di una speranza. Ma quella che viene qui denunciata è una delle peggiori piaghe del sistema americano. Come da noi  certi politici ed alti funzionari (da Draghi a Prodi a Barroso) finiscono  a Goldman Sachs,  a Washington anche  gli altissimi gradi  a fine carriera sono invitati nei  consigli d’amministrazione delle grandi aziende private produttrici di armamento o servizi  come contractors   al   Pentagono; assunti con emolumenti che non hanno mai visto durante il servizio, per le loro conoscenze interne e per  la loro capacità di fare lobby alla Difesa. Questo è uno dei più gravi elementi di distorsione della politica estera americana,  essendo  Loocked-Martin e McDonnell Douglas  imprese con un solo cliente (il Pentagono) o due (la NATO, i suoi satelliti), ed essendo  loro interesse che il governo Usa faccia più operazioni belliche e più occupazioni armate possibile – perché così consuma i materiali prodotti da loro,  e  garantisce un flusso permanente di lucrosi contratti di manutenzione, riparazione e sostituzione.  La  proliferazione cancerosa di basi americane nel mondo, il mostruoso bilancio del Pentagono  (in cui si annidano sprechi, tangenti e furti enormi), ma anche l’ipertrofia   bellicista Usa si spiegano in gran parte  non  con l’interesse nazionale, ma con l’interesse dei bilanci delle ditte.
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Lo sfruttamento è così evidente e lucroso, che anche la nota lobby ha creato una apposita sottolobby per storcere il tutto a favore di Sion:  il Jewish Institute fon National Security Affairs (JINSA), il cui scopo dichiarato è “informare le personalità della difesa americana sul ruolo svolto da Israele nell’affermare gli interessi della democrazia”,   nonché “sull’importanza  di mantenere una efficace capacità di difesa ad Israele così che siano salvaguardati gli interessi vitali americani”.  Generali ed ammiragli in servizio vengono invitati in Israele in visite pagate per fraternizzare  coi comandi sionisti; i generali a riposo  inseriti nel complesso militare industriale,  vengono invitati a far perte del JINSA e del suo board. JINSA, ha scritto il giornalista Jason Vest, “è l’ambiente in cui ideologia e affari si mescolano fino a identificarsi”: l’ideologia è quella del Likud e dei ‘coloni’ occupanti le terre dei palestinesi: i generali americani così manipolati sposano tutti  le posizioni del sionismo più estremo, “buttare a mare” i palestinesi, e così via.
Come abbiamo visto, il generale Mattis pensa esattamente il contrario di quel che proclama  il JINSA: che gli Usa “pagano un prezzo per sostenere” Israele. Quanto all’altra questione, risponde il fatto che dopo la pensione non ha avuto incarichi  strapagati  in una azienda di armamento: segno che li ha rifiutati,  perché certamente gli sono stati offerti.
Ciò è in linea col  sensazionale discorso tenuto da Donald Trump a Cincinnati, il 1 dicembre, per ringraziare i suoi elettori: “Sì, distruggeremo Daesh. Ma allo stesso tempo, perseguiremo una politica estera nuova tenendo conto degli errori commessi in passato. Noi smetteremo  di rovesciare governi di Stati esteri […]. Il nostro obbiettivo è la stabilità, non il caos. E’ venuto il tempo di ricostruire il nostro paese”.
I media  “democratici”  di tutta Europa  non  hanno dato alcun peso a  questo proposito programmatico  (sono per l’intervento umanitario?). Invece, hanno rumorosamente criticato Donald Trump  per aver telefonato- in realtà, ricevuto  la telefonata  della presidente di Taiwan,  con cui  Washington non ha rapporti diplomatici dagli anni di Nixon  quando, grazie a Kissinger,   riconobbe che quella con capitale Pechino è l’unica Cina. Che gaffe! Che inesperienza! Naturalmente tacendo questo piccolo particolare: che due giorni prima, il mercoledì  precedente, Obama aveva notificato al Congresso la vendita a Taiwan – lo stato non riconosciuto – armamenti per 1,8 miliardi di dollari.  Suscitando le proteste di Pechino.

Kissinger a Pechino: “Trump non deve niente a nessuno”

Pechino ha protestato anche per la telefonata di Trump –  che non ha l’aria di  esserne stato intimidito. Obama invece ha fatto comunicare al Dipartimento di Stato che la politica Usa verso la Cina non cambia.
I leader cinesi sono così preoccupati, in realtà, che hanno chiamato “il vecchio amico Kissinger” (è quello che ha messo la Cina agli onori del mondo nel ’78)  per ottenere informazioni e consigli sul nuovo presidente eletto. Secondo Bloomberg, Kissinger (93 anni) di sicuro dopo congruo pagamento, ha dato la sua consulenza  direttamente a Xi Jinpin e al   Politburo in questi termini: “Questo presidente eletto è unico tra quelli  che ho conosciuto  sotto un aspetto: non ha assolutamente alcun bagaglio. Non ha alcuna obbligazione verso nessun gruppo  particolare perché è diventato presidente sulla base della sua propria strategia e d’un programma che ha posto davanti al pubblico americano che i suoi concorrenti non hanno dato.  Dunque  è una situazione unica”.
https://www.bloomberg.com/news/articles/2016-12-02/china-grappling-with-trump-turns-to-old-friend-kissinger
Il fatto di non aver alcun gruppo o potere forte da ringraziare (e ricompensare) può essere una forza, ma anche una fatale debolezza: vuol dire che nessun potere forte ha un interesse  particolare a mantenerlo alla Casa Bianca, nemmeno il “suo” partito repubblicano.  Già alcune giornaliste della CNN  sono state intercettate, durante un fuori-onda, a scherzare su “un incidente aereo” che le avrebbe liberate dall’odiato Trump. Sapranno  qualcosa?
Ciò può spiegare alcune delle nomine di “The Donald”, come Steve Mnuchin,uno di Goldman Sachs, al Tesoro. Però attenzione: Mnuchin è stato a Goldman Sachs 14 anni fa; poi se n’è andato, volontariamente, ha fatto il produttore a Hollywood e il gestore di fondi per ricchi, fra cui  Donald. Anche Steve Bannon,    il giornalista-blogger e stratega della campagna che ha dato  la vittoria a Trump, è stato a Goldman Sachs: se n’è andato sbattendo la porta dopo aver scoperto che suo padre, grazie alla speculazione finanziaria, aveva perso la pensione, e da allora è  il più fiero e temibile  nemico di Goldman e Wall Street, di  cui non cessa di ricordare che   quelli non hanno pagato per il disastro dei  subprime che hanno creato nel 2008,  e per cui hanno “fatto pagare la gente che guadagna 50-60 mila dollari annui”, mentre i colpevoli ricevono bonos d’oro. “Wall Street dovrebbe essere preoccupata di Steve Bannon”,   titolava Business Insider  il 16 novembre scorso.  Perché è intelligente. Perché conosce i giochi. E soprattutto, perché  è di destra con idee  “sociali” anti-speculazione. Naturalmente, i media hanno  spiegato che è antisemita e “contro le donne”.

E LA UE TROVA DEL BUONO IN PUTIN

Jean Claude Juncker   s’è fatto intervistare da Euronews per dichiarare che “amerebbe avere con la Russia un accordo che vada al di là del quadro ordinario, tenendo a mente che senza la Russia,  non c’è architettura di sicurezza in Europa”.   Strano:  per almeno tre anni la UE  ha agito con l’idea contraria:  che, per avere una sicurezza in Europa, bisognava emarginare la Russia, imporle sanzioni,  circondarla di armamento  ed eserciti NATO, scacciarla dal concerto europeo. Oggi Juncker dice: “La Russia deve essere trattata come una grande entità, una nazione fiera. Mi piacerebbe avere discussioni da eguali con la Russia”.
Ha aggiunto che il presidente  Obama ha avuto torto a dire che la Russia è “una  potenza regionale”. Strano: solo meno di un mese fa, Juncker,   Mogherini, Merkel e Hollande  baciavano la pantofola di Obama venuto in visita di commiato, e con le lacrime agli occhi giuravano di proseguire la sua politica di emarginazione di  Mosca; anzi la Merkel s’è fatta incoronare nemica ufficiale  di Putin dal dipartente Nobel per la Pace, mentre Juncker sputava insulti su Trump.  La Mogherini  ha ordinato la censura e l’oscuramento delle emittenti russe in inglese,,,,,  perché infettavano la correttezza politica del pubblico europeo.
E’ stata una bella prova   di eterna fedeltà: dal 17 novembre al 1 dicembre. Adesso su Euronews Juncker dice che la Commissione Europea non ha bisogno di dipendere dalla politica estera americana per le sue relazioni con la Russia: questa si chiama indipendenza. Questa  sì è schiena dritta.
Il cambiamento non dipende certo dal fatto che alla Casa Bianca sta per andare Trump.  Dipende, magari, dal fatto che Hollande  sta sparendo nel nulla 8dopo aver destabilizzato Libri e Siria, ecco come lo ripaga il popolo francese), che  presto a Parigi  sarà al potere Francois Fillon che è un amico di Mosca; sea Vienna vince Hofer,  si rafforza il gruppo di Visegrad, profondamente anti-UE; in Italia una vittoria del No può portare, a termine,al collasso  dell’eurozona.
Per di più, ignorati dai media, 16 paesi europei  dell’OCSE– capeggiati dal ministro degli esteri germanico  Steinmeier – hanno richiesto di aprire un negoziato con Mosca per il controllo degli armamenti, ossia il contrario del riarmo voluto da Stoltenberg su istigazione di Obama. “Per quanto siano difficili  i rapporti  con la Russia,  abbiamo bisogno di più dialogo, non meno”, ha detto Steinmeier.  Anche qui, un bell’atto di  coraggio e indipendenza di pensiero strategico.
Sempreché, s’intende, non accada a Trump quell’incidente aereo di cui ridacchiavano le “giornaliste”della CNN
Perché in tal caso dobbiamo cominciare a contare i giorni   che durerà il grande rispetto  di Juncker  per Mosca.

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